EYELESS IN GAZA …
“Everything still, everything silent, as after the rains … ”
di Paolo Bertoni

Se l’intento era di scandagliare l’intera discografia, di rara eccellenza, di Martyn Bates, la mole impressionante di emissioni che lo hanno vista protagonista dall’80 ad oggi induce a rimaneggiarne l’analisi, col proposito di riparare più in là, alla parabola della sigla che, pur con un intervallo caduto tra l’86 ed il ’93, porta avanti, in coppia con Peter Becker, oramai da più di un ventennio.

Il debutto di Eyeless In Gaza è datato maggio 1980, il 7” Kodak Ghosts Run Amok, mille copie per la propria Ambivalent Scale, prodotto da Pete Bosworth di Reluctant Stereotypes, ha già pieni requisiti per sottolineare l’assoluta originalità del duo con una title-track a suo modo impetuosa con synth squillante e perforante, basso sommerso ma indubitabilmente post-punk, melodia incatenante ed evocativa, ed una b-side ottima con China Blue Vision e The Feeling Mutual, sghembe e con acuminati contorni cold electro wave. Nell’assemblaggio casalingo del singolo, nel più puro punk style, i nostri emulano, dichiaratamente, Scritti Politti e il loro Skank Bloc Balogna, nel quale si spiegavano dettagliatamente passaggi e costi per realizzare un 7” autoprodotto. Kodak Ghosts Run Amok ha copertina fotocopiata e non utilizza timbri sulla label bianca dei disco come avvenuto per il singolo di Green Gartside e compagni ma una serie di piccole etichette con scritti a mana da Peter e Martyn i titoli dei brani ed il resto, col vezzo di qualche pallino adesivo colorato, a spezzare il bianco e nero dell’insieme.

Bates, inserviente ospedaliero, ha come trascorsi esperienza piuttosto defilata nei citati e ininfluenti Reluctant Stereotypes, Becker, tecnico di laboratorio, non ha curriculum che esuli dalle esperienze da pub. Il nome sotto cui si uniscono deriva dal libro di Aldous Huxley che, a sua volta, s’era ispirato a John Milton, poeta del ’600 inglese. Svanita in breve l’esigua tiratura del singolo, l’inizio dell’anno successivo porta l’esordio su lunga distanza, “Photographs As Memories”, che suggella l’inizio del duraturo rapporto con Cherry Red. Viene ancora citato Huxley, il titolo estrapola parte della frase d’apertura di ‘Eyeless In Gaza’, in copertina una bella immagine, trattata, di Peter bambino tra le braccia materne sulla riva di un lago. Un disco realizzato in appena 24 ore che, pur nel contemporaneo, quanto mai eterogeneo e concitato fermento, non manca di sconcertare, per la sua ricercata inafferrabilità, ad arte amplificata dalla produzione di John Rivers, tra chitarra sferragliante e ruvida, voce di Bates urlata, synth dissonanti. L’apertura di Seven Years è grezza quanto un demo, quasi punk, più orientata sulle coordinate della Sheffield elettronica Fixation, algidi sintetizzatori come echi lontani e batteria elettronica, Looking Daggers ha chitarre grattate alla Fall, From A To B possiede tratti apparentemente più gentili sino a quando Bates vocalmente non conferma una rabbia che si direbbe disperata, Speech Rapid Fire introduce a quella formula peculiarmente in bilico tra esasperata drammaticità vocale e rarefatta scarnezza dei suoni che diventerà tratto distintivo e arma letale del duo di Nuneaton (un villaggio vicino Coventry), John Of Patmos ha beats elettronici, cantato in litania e striduli isterismi no wave, Knives Replace Air chitarre che simulano funk elementare e melodie vocali che penetrano dentro, focalizzando senza timore le doti vocali, raggelanti per espressività, di Martyn, No Noise e Faceless sono pop sangs irridenti, In Your Painting procede come un carillon grippato, Whitewash ha cadenze quasi tribali poi deraglia irrimediabilmente con onirici svolazzi sintetici. Nella sostanza un album imparagonabile ad altro ed avulso dalle classiche atmosfere early eighties, tra anarchia sonora e compressa romanticismo che si disperdono in rigagnoli dalle direzioni impensate.

Nell’aprile ’81 un nuovo singolo, Invisibility, nell’inserto anche i testi di “Photographs As Memories”, tra sbuffi elettronici, chitarra costretta in un circolo vizioso ipnotico, voce che fluttua ormai certa delle sue capacità, per le sue assai relative potenzialità commerciali non smuove granchè, anche perché i retri Three Kittens e Plague Of Years, sono uno strumentale poco comunicativo e uno svagato frammento alla No Noise. Ma che l’interesse di Eyeless In Gaza sia mirato altrove lo attesta al calare dell’estate successiva “Caught In Flux” che esce in una confezione che raddoppia con l’Ep, dal titola significativo, “The Eyes Of Beautiful Losers”. E’ quest’ultimo ad essere destinato ad aprire il lavoro, ed è persino da preferire a quanta contenuto nell’album vero e proprio. L’intro atmosferica di The Eyes Of Beautiful Losers, a sperimentare ancor più impenetrabili scenari, con voce e tastiere a rivaleggiare sospese nelle nebbie, Still Air, organo e voce, commovente, che è archetipo di ciò che farà Martyn da solo nell’epocale “Letters Written” dell’anno dopo, Out From The Day-To-Day, insolitamente frizzante e disinvolta, l’incisiva, minimale e prodiga di pathos True Colour ed infine Keynote Inertia, superbamente toccante, rendono Eyeless In Gaza, non fosse per la voce di Bates, praticamente unica, quasi irriconoscibili. “Caught In Flux” invece si distanzia meno sensibilmente da “Photographs As Memories”, pur ospitando la definita malinconia di Sixth Sense che devasta, con un piano che rotola nell’acqua e rumori che conducono in spazi aperti, See Red, tastiere distese sull’orizzonte ed un ticchettio a rammentare che ogni secondo ci allontana da ciò che è smarrito, Every Which Way, avvolta in riverberi nostalgici e The Decoration, che ha finalmente parvenze wave. Il resto, in particolare Point You, Voice From The Tracks, Continual, si riallaccia direttamente al primo album, così come Soul On Thin Ice è ancora funk sporco e quasi improvvisato, Scale Amiss continua sulla strada dell’aggressività e dell’essenzialità iterativa e restia ad ogni sofisticazione, Rose Petal Knot si staglia straziante e astiosa ad un tempo mantenendo apprezzabile usa dei sintetizzatori, piuttosto moderato complessivamente rispetto all’atto precedente.

Trascorsi due mesi esce il 7” Others, col brano omonimo, una ballata fresca ed insinuante, la nervosa Ever Present e due esperimenti di stampo ‘naturalistico’, Jane Dancing ed Avenue With Trees. La vena definibile senza esagerazioni ‘sperimentale’ insita in Eyeless In Gaza, le cui origini risalgono ad interessanti tapes solisti (“Dissonance”, dell’80, col moniker di Migraine Inducers per Bates, “They Brought The Stratosphere” e “By Train To The Coast”, nel biennio ’80/’81, per Becker), viene evidenziata anche nei cinque inediti registrati nel gennaio dell’82 e contenuti nella cassetta spartita con Lol Coxhill allegata al numero 2 della fanzine francese Tago Mago, un quarto d’ora scarso di impalpabilità con Bates alla voce solo nella altrimenti esclusivamente percussiva Crêpe Paper Heart, con ulteriori momenti pregevoli come Before December, nulla più che xilofono, For Edward, Silver.

Ideale, compiuta, prosecuzione è “Pale Hands I Loved So Well” che viene pubblicato dalla norvegese Uniton nell’82 e prevede una serie di avvolgenti episodi ambientali dai contorni nebbiosi e notturni, che utilizzano la voce di Bates per lo più solo a coloritura, con frangenti d’altissima suggestione quali Warm Breath - Soft And Slow, Sheer Cliffs, quasi ritual music, Falling Leaf/Fading Flower/Goodbye To Summer, con sax che imita la sirena di una nave che punta l’oblio, Pale Saints, che indurrà lan Masters a battezzare così la sua band, tra le più memorabili dello shoegazing, Letters To She, decisamente spettrale ed introdotta da canto gregoriano. A contorno due canzoni vere e proprie, magnifiche, Blue Distance e Light Sliding, magicamente romantiche. L’album è superlativo e distilla compiutamente la malinconia solo a tratti emersa nei due capitoli precedenti, evocandola attraverso una estremizzata rarefazione che suggerisce un senso di smarrimento irreparabile.

Nello stesso anno viene altresì pubblicato “Drumming The Beating Heart”, l’apice indiscutibile della prima fase dell’attività di Eyeless In Gaza. Lo pervade un intimismo radicale, quasi una forma di sentimentale raccoglimento, reso iconograficamente dal retro copertina che immortala Peter e Martyn in atto di preghiera in una chiesa. L’elevato lirismo della voce di Bates, che si svela definitivamente come straordinaria, inondazione d’emozioni, e l’incredibile fascino di suoni sfuggenti che rifiutano l’ovvietà in una apparenza di semplicità disarmante e che, inesplicabilmente, rifuggono ad ogni ipotizzabile referente, trovano il loro momento più alto di congiunzione materializzando misteriosi incanti. Espressione parossistica di una inusitata disposizione a lasciar eclissare ogni propria pudica difesa per esaltare l’essenza della sofferenza del vanamente vivere e dell’incompreso amare, oltrechè elogio dell’introspezione romantica urlata senza limiti proprio nella certezza dell’incapacità di farsi percepire oltre le invalicabili costrizioni del proprio io, “Drumming The Beating Heart” è un lavoro che incita alla commozione ed evoca acuminate solitudini con un’adesione, trasmessa anche da testi di raffinata poesia, quasi insostenibile. Transience Blues, Ill Wind Blows, One By One, Picture The Day, Veil Like Calm, Throw A Shadow, Lights Of April, Before You Go, pezzi realmente struggenti spesso in bilico sui due minuti, si uniscono in una abrasiva sequenza, attenuata appena dalle agili Pencil Sketch e Two, mentre sulla falsariga dei prevalenti contenuti di “Pale Hands I Loved So Well” è la sola Dreaming At Rain. Per la prima volta, al quarto album, viene estratto un singolo, comunque edito tre mesi dopa, con Veil Like Calm abbinata a Taking Steps, appartenente alla non infrequente tipologia ‘leggera’.

Il successivo 12” New Risen ha invece la canonica funzione di apripista precedendo di due mesi “Rust Red September”, edito nell’estate dell’83, praticamente ad un anno esatto dall’uscita di “Drumming The Beating Heart”. La title-track illumina sul nuovo corso del duo, ora più orientato a cimentarsi su strutture più prossime alla ortodossa canzone, ma sempre con caratteristiche totalmente peculiari, alla resa dei conti con nessuna opportunità di rivelarsi venalmente remunerative. New Risen è un inestimabile gioiello di pop alternativo ma nell’Ep rifulgono soprattutto Bright Play Of Eyes, una ballata di una bellezza davvero destabilizzante che sarà anche nell’album, Scent On Evening Air, che ritorna sulle tracce di “Drumming The Beating Heart”, un superbo episodio organo/voce con i soliti rumori in sottofondo a tenere in veglia dal piombare in un vortice di tristezza divorante, e Drumming The Beating Heart, quasi a cappella, a paralizzare di beatitudine, probabile residuo, data il titolo, del disco precedente, per quanto sia per Bates consuetudine riprendere o anticipare segnali che ricollegano ad altre emissioni.

Le premesse del singolo vengono pienamente confermate da “Rust Red September”, vero inno all’autunno, in cui ballate splendide come Pearl And Pale, una ripresa ben più rifinita di Taking Steps, Leaves Are Dancing, Corner Of Dusk, ingentiliscono senza precedenti le chitarre, prestandosi dolcemente al cantato e a testi che non cessano di rivendicare malinconici propositi in particolare nelle sublimi Only Whispers e Stealing Autumn, a prevalere nettamente su September Hills e No Perfect Stranger, le uniche a conservare nevrotiche venature. Eccettuando la citata, e persino esuberante New Risen, si resta lontani dall’estinguere quella strepitosa tendenza al melò tipica delle produzioni della formazione di Nuneaton e “Rust Red September” è ancora un capitolo di un romanticismo genuinamente estremo.

A questo punta il procedere di Eyeless In Gaza subisce un consistente rallentamento, tanto che tra l’84 e l’85 escono solo due singoli, prima Sun Bursts In, con a-side pimpante con tanto di fiati, e terna sul retro superba, Lilt Of Music, voce e percussioni, Inky Blue Sky, ancora con l’organo protagonista, e Tell, in linea con i frangenti più crepuscolari di “Rust Red September”, poi Welcome Now, che alla trascinante pop song che titola il disco, accosta Sweet Life Longer, meraviglioso affresco venato di tradizione folk, e la vivace e per una volta ottimistica New Love Here. Welcome Now sancisce un vero evento per Eyeless In Gaza, per la prima volta, a parte il singolo di debutto, non è John Rivers alla produzione, ma il ruolo viene diviso nelle due facciate tra John Brand e gli stessi Bates e Becker, ed altrettanto inedito è il fatto che ai due s’aggiunga un batterista esterno. Significativa nell’84 è anche la partecipazione al primo volume della collana “Myths” della Sub Rosa in cui, su vinile che ospita anche Mark Stewart + Maffia, William Burroughs e Camberwell Now, accreditati non alla sigla EIG ma a loro nome, ci sono tre pezzi eccellenti dal marcato imprimatur ambient/minimalista, To Elizabeth, l’aerea To Steven e Sun-Like-Gold, col contributo al recitato e all’organo a bocca di Shannon Smith.

All’inizio dell‘estate ’86 esce alfine il sesto capitolo su lunga distanza, “Back From The Rains”, che malgrado i tre anni esatti trascorsi da “Rust Red September” ne persegue con coerenza l’impostazione, rivolta senza complessi alla stesura di canzoni strutturalmente consone ai canoni della materia. L’album ripropone l’intero programma di Welcome Now, singolarmente posto in sequenza nella seconda facciata, ed affida altresì a Twilight, Flight Of Swallows e Catch Me le residue, improbabili opportunità spleen-pop, mentre non si ritraggono dalle aspettative romantiche Lie Still, Sleep Long, capolavoro a ferire il cuore, Back From The Rains, Evening Music, Your Rich Sky, le vette sentimentali, col contorno di un paio di frammenti a cappella dai medesimi intenti, Between These Dreams e She Moves Thru The Fair, rilettura che attinge alla tradizione folk irlandese. A prevalere, dunque, ancora una volta, è un’attitudine malinconica non mena che esistenziale, seppure “Back From The Rains” risulti senza dubbio il più diretto dei dischi di Eyeless In Gaza sino ad allora. Il 12” che segue, Kiss The Rains Goodbye, secondo una costante del duo tesa a nascondere nelle b-sides alcuni dei loro pezzi più coinvolgenti, svela il più luminoso numero pop delle sessions del disco, Far Lands Blue, unito ad una breve versione strumentale di Catch Me, ed alle note Back From The Rains ed Evening Music. A questo punta la storia di Eyeless In Gaza s’interrompe, l’ultima apparizione dal vivo è a Reus, in Spagna, nel marzo dell’87.

Quando esce la fondamentale retrospettiva “Orange Ice & Wax Crayons”, nel ’92, il loro nome è ormai patrimonio di pochi seguaci che non coltivano speranze che altro materiale, se non d’archivio, s’aggiunga al detto. Si esulta intanto per quanta compreso in “Orange Ice”, raccolta di inediti collocata tra ’81 ed ’85 che rende disponibili molti pezzi che avevano turbato le notti ed angustiato i giorni a possederne soltanto registrazioni rubate nelle loro esibizioni dal vivo nel periodo suddetto. Quindici inediti nella versione CD, con tre bonus rispetto a quella in vinile che però risponde con allegato un 7” con altri due inediti, Music For Playgrounds e Egg-Box Mask. La divisione è equa tra pregiati pezzi pop, tra cui spiccano What I Want To Know, All Lone Hours, Early Empty Lanes, From Drawn Blinds e Stay, l’unica traccia già pubblicata, cascata pop già apparsa sul sampler su cassetta “Discreet Campaigns”, e classici della miglior risma sino ad allora mancanti di una ufficiale ‘consacrazione’ come Ways Of Rachel, Fear Clutches, Dogs Bark, Fever Pitch And Bite, frammenti alla “Pale Hands I Love So Well” quali Old Lime Quarry, P.S. For Michael, Great Ocean Liner, e la splendida, ‘concreta’, Street Lamps ‘n’ Snow.

Inaspettato, nel ’93, viene il ritorno di EIG che apprendo solo con la segnalazione d’un amico di una lettera su NME che accenna alla pubblicazione per la fantomatica Orchid di “Fabulous Library”, che si svela presto praticamente introvabile non fosse per una provvidenziale spedizione nel Regno Unito. Di fatto Eyeless In Gaza sono ridotti alla clandestinità, tanto che anche la stampa britannica ignora l’uscita. Nelle note contenute in “Orange Ice”, a proposito di My Lost Melody, Becker sottolinea come calcare territori di una normale ‘rock band’ non era mai stato tra le sue aspirazioni, implicitamente suggerendo che questa fu la causa dello scioglimento del sodalizio. Ipotizzare quindi ancora velleità commerciali, prima d’ascoltare l’agognato CD, sembrerebbe impossibile, vista l’improduttività della svolta ‘pop’ di Becker e Bates, invece l’album, tra l’altro in maniera molto distante dai trascorsi, ci prova ancora. Viene allargata a tre la formazione, con Elizabeth S., consorte di Martyn, ad affiancare i due, unica protagonista vocale della title-track, ai limiti della pop-fusion, e di Stormy Weather, e frequentemente in duetto vocale col coniuge, il cui voluto ridimensionamento è forse l’ostacolo più aspro da superare per i fan integralisti del gruppo. As Far And Deep As Love è house oriented, allo stesso modo su insistenti ritmiche si fonda Vivid (Full-On), Be The Teacher è pop di stampo bacharachiano lievemente slavato, She Tries On The Jewels ha tardive affinità con Japan, Loves A Sometime Thing con Blue Nile, Feel Like Letting Go è manchevolmente involuta. Così, malgrado l’apertura del disco, Slow Train, perla elettroacustica, sia di una seduzione abbacinante e Stone Smile fascinosamente discreta, “Fabulous Library” è largamente deludente, con la voce di Bates consistentemente ‘normalizzata’, un sovrarrangiamento dei brani che contraddice le abitudini minimaliste di Eyeless In Gaza, melodie che troppo raramente si innalzano vincenti, un’elettronica piuttosto insipida che prevale, una gratuita prolissità. Poco che giustifichi la rinascita della sigla, sulla quale giurare un futuro sembra forte azzardo.

Più che sollievo procura così “Saw You In Reminding Pictures”, che viene pubblicato, ancora in sordina, in mille esemplari, l’anno dopo per Hive-Arc. Da un eccesso all’altro, dall’edulcorato “Fabulous Library” ad una raccolta di diciotto brani quasi del tutto improvvisati da Peter e Martyn nell’inverno di quello stesso anno. La reunion che s’anelava. Con un approccio e contenuti assai prossimi a quelli che furono di “Pale Hands I Loved So Well”, in breve neanche scalfito da volontà d’immediatezza, seppure la voce di Bates, prontamente riappropriatasi del suo ruolo prioritario, è molto più presente rispetto al disco citato, “Saw You In Reminding Pictures” si dedica a squarci di pura, pur gelida, poesia ambientale, evocanti ora tetre solitudini (Full Beautiful, Cornish Claw), ora rasserenanti momenti di provvida quiete (Wild Flower, Many), ritornando su iterativi territori rituali in Mock Sun, con oniriche distensioni in All Yr Pages, Sennen Cove Cliff Path, Lizard, momenti struggenti in Reminding Pictures, Streets I Ran, Hunger Song, tenui memorie degli esordi conficcate in Drive The Nail Thru The Snake e Day Screaming Reminiscence.

Dichiarato compendio di “Saw You In Reminding Pictures” è il miniCD Streets I Ran, che oltre a ripescare il pezzo omonimo, usa il medesimo criterio parzialmente improvvisativo in una serie di session dell’autunno del ’94. Se Twilight Walking possiede identica forza espressiva, i restanti tre brani, Songs Of Living Sons, a riportare la chitarra in una posizione rilevante, la piana History Book ed un episodio dai riverberi etno come Up The Walls Of Song solo ad intermittenza ripagano le invero alte attese.

Caratterizzate dunque le ultime due emissioni da requisiti d’estemporaneità è “Bitter Apples”, datato ’95, il primo album da “Back From The Rains” a seguire una genesi ‘convenzionale’. Nell’incipit di Bushes And Briars, impalpabile e sofferta, in Jump To Glory Jane, striata di dolore, ed in Earth, rinvengono le pagine più ostiche di EIG, gli arpeggi della straziante To Cry Mercy, di Returning Over e Guide This Night, riportano a “Rust Red September”, le più spigolose chitarre di Year Dot, Dear Light vanna ancora più indietro tra “Photographs As Memories” e “Caught In Flux”, No Further Than The Shore, emozionante, alla semplicità acustica del Bates solista dei dischi compresi tra “Letters Written” e “Mystery Seas”, mentre tempesta e melodia si congiungono in To Listen Across The Sands, e pop da singolo sfodera Bitter Apples, il tutto assemblato in un lavoro di nuovo formidabile, in cui EIG riconquistano prepotentemente quell’unicità che in un acre romanticismo trova fondamenta incrollabili.

La pubblicazione di “All Under The Leaves, The Leaves Of Life”, meno vitale del suo predecessore ma forse ancor più riuscito, nell’estate del ’96, rassicura che Bates e Becker hanno intenzione di ripartire a pieno regime con il progetto. Nel programma, di assoluto pregio, Monstrous Joy, che apre superbamente l’album stemperando la consueta drammaticità insita nei pezzi di EIG con l’organo rendendola più malleabile ma non mena incisiva, Struck Like Jacob Marley, pervasa da un desiderio di convenzionalità attuato in maniera dei tutto singolare, Morning, un lampo del Bates ‘trovatore’, The Leaves Of Life e Three Ships, oltre undici minuti di puro raccoglimento, arrangiamenti, non privi di pretese devianti, di traditional, tributo doveroso ad imprescindibili radici folk, Answer Song And Dance, episodio di grande presa, che si erge pure amaro e ostinatamente ritroso al proprio potenziale pop, Damning Yourself Broken, altro ondivago frangente di profondo intimismo, Fracture Track e Passing And Distant View, perseguenti solchi già tracciati, rispettivamente quello più antico e quello pre-split.

Impegnato ancora nella trilogia di “Murder Ballads” con Mick Harris, coinvolto in coppia con Alan Trench in Twelve Thousand Days, più in diverse altre collaborazioni, Bates allenta però presto il rinnovato impegno con EIG tanto che servono quattro anni perchè la sigla si riaffacci, con l’ultimo, ad oggi, “Song Of The Beautiful Wanton”, per i tipi della statunitense Soleilmoon, label dalle solide tradizioni sperimentali. L’attesa è spezzata da una ballata sottovoce, Among The Blue Flowers And The Yellow che sradica il cuore, soglia d’un album ancora una volta superbo con One Light Then che deraglia dai medesimi binari di partenza con un crescendo straniante sicuramente improvvisato, la parimenti istintiva Mysterious Traffic, Dearsong, una per loro inedita piano ballad di una dolcezza sontuosa, Staring, Less Sky, Sorrow Loves Yr Laughter, che si concentrano in sequenza per rimembrare senza equivoci le armonie di “Rust Red September”, l’atipica soundtrack music di Old And Cold And Full Of Ghosts. A segnare più marcatamente umori e intenzioni della raccolta è pero il consistente blocco di canzoni, Among The Blue Flowers And The Yellow, Lullay My Liking, The Silkie, The Lovely Wanton, Lord Gregory, in cui le tradizioni folk riaffiorano con puntuale insistenza, con la voce di Martyn sorretta praticamente dal nulla a rilucere, una volta ancora, incomparabile.

DISCOGRAFIA
Kodak Ghosts Run Amok (7” Ambivalent Scale, 1980)
Photographs As Memories (Lp Cherry Red, 1981)
Invisibility (7” Cherry Red, 1981)
Caught In Flux+The Eyes Of Beautiful Losers (Lp+Ep Cherry Red, 1981)
Others (7” Cherry Red, 1981)
Pale Hands I Loved So Well (Lp Uniton, 1982)
Drumming The Beating Heart (Lp Cherry Red, 1982)
Veil Like Calm (7” Cherry Red, 1982)
New Risen (7”/12” Cherry Red, 1983)
Rust Red September (Lp/K7 Cherry Red, 1983, la versione su cassetta raccoglie tutti i brani dei singoli sino ad allora pubblicati)
Sun Sursts In (7”/12” Cherry Red, 1984)
Welcome Now (7”/12” Cherry Red, 1985)
Back From The Rains (Lp/K7 Cherry Red, 1986)
Kiss The Rains Goodbye (12” Cherry Red, 1986)
Orange Ice & Wax Crayons (Lp/CD Document, 1992)
Fabulous Library (CD Orchid, 1993)
Saw You In Reminding Pictures (CD Hive-Are, 1994)
Streets I Ran (MCD Ambivalent Scale, 1995)
Bitter Apples (CD Ambivalenl Scale, 1995)
All Under The Leaves, The Leaves Of Life (CD Ambivalent Scale, 1996)
Song Of The Beautiful Wanton (CD Soleilmoon, 2000)

Appena da rammentare, non c’è nulla di inedito o raro in nessun caso, i pezzi sono esclusivamente tratti dalla discografia sopra citata, le antologie “Kodak Ghosts Run Amok” (Cherry Red, Lp/K7 1987), “Transience Blues” (Integrity, CD 1990), “Voice” (Cherry Red, CD 1993), “Sixth Sense” (Cherry Red, CD 2002).

Preziosa è invece la videocassetta “Street Lamps ‘n’ Snow” (Visionary, 1994) che oltre ai videoclip di Veil Like Calm e New Risen, documenta l’esibizione a Le Havre del novembre ’82, senza pretese virtuosistiche, con immagini girate da Jean-Pierre Turmel ed Yves Von Bontee di Sordide Sentimental. Da segnalare la presenza di molti titoli inediti, Snow Theme 1&2, No Space To Stop, Across The Pulse Of The Rain, Deep Naked Sorrow, Old Hours, Slow Daybreak, Wind In Dead Trees.